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Intervista a Claudio Tarantino

D – Philippe vive in strada, scrive frasi sul marciapiede. La gente si ferma per leggerle e le monete, alcune volte finiscono lì accanto in un bicchiere, appoggiate gentilmente. Ama camminare per le strade di Milano, sostare e osservare, entrare nelle chiese, ammirare l’architettura. Ha vissuto i marciapiedi spostandosi di zona in zona, alcune sono più accoglienti altre più pericolose. Chi è Philippe?

 

 R - Philippe è un po’ dentro ognuno di noi. Credo che sia capitato a tutti di fermarsi ad osservare un tramonto o un dipinto, un palazzo antico o un cucciolo di animale e di rimanerne affascinati. La frenesia della vita poi ti porta lontano da quel momento che andrà dimenticato; ecco Philippe non dimentica, ama e vive di questo amore, sebbene la sua vita lo abbia portato lontano da quello che comunemente chiamiamo felicità.

 

D – Clara lavora in un ufficio, il suo rapporto con le colleghe è difficile, non hanno niente in comune. Accetta di uscire con loro solo per non sembrare scontrosa. Una mattina si ferma a osservare un nido arroccato sotto una grondaia di fianco a lei c’è Philippe: sono le uniche due persone ferme in mezzo a una fiumana in movimento. Si può dire “Galeotto fu il nido?”

 

R - Il nido e i cuccioli di rondine rappresentano proprio la bellezza della vita, nascosta sotto le tegole di un antico palazzo e che quasi nessuno vede più. Clara e Philippe hanno una cosa in comune, non aver perso la speranza di un mondo migliore, e quando s’incontrano scocca la magia che non si ferma all'apparenza (vedi lo stato di senzatetto di Philippe) ma che cerca le cose nascoste, le cose a cui quasi più nessuno fa caso.

 

D – Milano è una città dove le persone camminano con passi diversi, possono correre, altre volte sostano. I luoghi, le zone, i quartieri hanno una valenza diversa per ognuno. Qual è la tua immagine di Milano?

 

R - Io, come credo molti milanesi, ho un sentimento contrastante verso Milano. Mi capita spesso di fare due passi per il centro ma anche in zone più periferiche e camminare con lo sguardo all'insù, scopro meraviglie che, forse, solo i turisti riescono ad apprezzare, e lì la amo profondamente. Poi torno alla mia vita di lavoratore, di padre, di marito e mi perdo nel traffico, nella frenesia del quotidiano e smetto di amarla, questa città, e la odio un po’. Ma quando la lascio, per lavoro o altro e torno, sento di essere a casa.

 

D – In questo romanzo i rapporti umani sottolineano l’importanza della conoscenza, dell’accoglienza, dello scambio, della redenzione, del perdono che portano i personaggi ad avere un riscontro importante: le buone azioni pagano.

Pensi ci possano essere altre persone che hanno fatto la scelta di Clara e Philippe? È fattibile nella realtà?

 

R - Certamente, ne sono più che convinto, da sognatore quale sono non potrebbe essere diversamente. Se cambiamo gli scenari, se al posto di un senzatetto pensiamo a un operaio e al posto di una impiegata mettiamo una dirigente d’azienda, perché non possono innamorarsi? Sono fermamente convinto che sia l’amore a governare il mondo e sono altrettanto convinto che quando l’amore non ci sia, si smetta di vivere. Per amore, naturalmente, si intende tutto, verso un uomo o donna, verso l’arte o la letteratura. L’amore è trasversale.

 

D – Nel romanzo la parola famiglia è molto importante quali che siano i loro componenti. Che cosa significa famiglia per te?

 

R - Ho la fortuna di avere una famiglia d’origine che, con i suoi difetti, mi ha aiutato a diventare quello che sono e sono altrettanto fortunato per essere riuscito, con mia moglie, a creare una famiglia che adoro. Non è sempre facile, due figli adolescenti mettono a dura prova la serenità ma vale la pena combattere ogni giorno.

 

D – Puoi raccontarci come è nato questo romanzo? Dove e quando lo hai scritto?

 

R - Questa storia nasce da Philippe. All'inizio sapevo solo che volevo scrivere di un senzatetto che avesse un animo poetico, il resto della storia, Clara, i postini, Max e Ginevra e tutte le altre tessere sono arrivate da sole, quasi come se qualcuno mi dettasse una storia che già esisteva, bastava solo trovarla.

Scrivo quasi sempre di sera, dopo che i ragazzi sono andati a letto, forse perché certe storie vivono nell'ombra e aspettano il momento giusto per mostrarsi.

 

D – Quali letture, esperienze ti hanno influenzato?

 

R - Ho iniziato tardi a leggere, avevo 22 anni e il mio amico Renato mi regalò IT di Stephen King. Da allora non ho più smesso di leggere. Da qualche anno ho scoperto Maurizio De Giovanni e credo che il mio modo di scrivere abbia preso molto da lui.

 

D – Un altro personaggio molto importante è l’atmosfera che si respira nel romanzo. Cosa ne pensi?

 

R - Questo è un complimento che mi tengo stretto. Credo che l’atmosfera che si respira in questo romanzo sia figlia di un sentimento forte, un amore verso le piccole cose che rendono meravigliosa la vita.

 

D – Quali sono i tuoi progetti futuri?

 

R - Ho avuto la fortuna di incontrare un regista italiano, Matteo Saradini, che si è trasferito a Los Angeles a cui è piaciuto il mio romanzo e mi ha proposto di scriverne una sceneggiatura. Sto ultimando il mio secondo romanzo, Quando Sbiadiscono i Colori, che parla sempre d’amore, ma quando si diventa vecchi, quando, appunto, sbiadiscono i colori. I quattro anni lavorativi passati al pio Albergo Trivulzio mi stanno aiutando a scrivere una storia a cui tengo molto.

 

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Ringrazio l’autore Claudio Tarantino per avere cortesemente risposto alle domande.